La malattia: una mia parte, ma non tutta la mia persona
Lisa:
Quando una persona subisce il trauma della diagnosi, ha l’immediato effetto di sentirsi al 100% malato. Noi esistiamo come figli, compagni, mogli, mariti, fratelli, sorelle, amici. In un’unica persona esistono tante parti.
Ma quando arriva la diagnosi di malattia è come se ci dicessimo: “Ecco io sono la mia malattia: io sono linfoma, io sono leucemia, io sono artrite reumatoide, ecc.”
Ma noi, in realtà, continuiamo ad essere tutto quello che eravamo prima e a quello si aggiunge la malattia.
Ed ecco il grosso rischio che corriamo: dal momento della diagnosi si rischia di percepirsi solo come malattia.
In realtà, la malattia non è altro che una parte di Sè, ma non è tutta la persona; la persona continua ad esistere in tutte le sue parti e a quelle va aggiunta la malattia.
Se si entra in questa visione di malattia si cerca di vivere al meglio delle proprie possibilità e capacità NONOSTANTE la malattia.
Può risultare un’utile tecnica identificare con un nome la propria parte malata per poterne dare una forma e per sottolineare la sua dimensione di PARTE e non di TUTTO l’essere umano.
Guido:
Uscito dal medico camminai senza accorgermene fino al parco; non ricordavo neanche più dove avessi parcheggiato, mi sedetti su una panchina, mi sentivo svuotato. A un uomo, che mi chiese un’informazione, risposi:
“… scusi, ma non riesco a capire cosa mi stia domandando …”
Poi, la musica a tutto volume di una macchina ferma al semaforo, mi fece ricordare un episodio della mia infanzia.
Non sapevo neanche più di averlo. Avrò avuto 10 o 12 anni.
Quel pomeriggio d’estate mi stavo annoiando.
Allora, mi venne in mente un’idea geniale …
Andai in cortile e presi la pompa dell’acqua che mamma usava per innaffiare i suoi amatissimi fiori.
Mi nascosi dietro la siepe che separava il giardino dalla strada e aprii il rubinetto nel momento esatto in cui passava un’automobile con i vetri abbassati ….!!! … Mi faceva ridere questa cosa qua … all’epoca non tutti avevano l’aria condizionata e c’era tanto caldo quel giorno.
L’acqua uscì con forza e lì per lì, preso dall’agitazione, la richiusi subito.
Sentii l’autista imprecare e fermarsi; lo vidi scendere, cercare con lo sguardo il colpevole, guardare l’orologio come se avesse fretta, e poi andarsene.
Non essendo stato scoperto, lo rifeci.
Ogni volta che passava una macchina, diventavo sempre più audace.
Andai avanti così fino a quando accadde l’imprevedibile.
Un automobilista decise di parcheggiare proprio lì, davanti a me, che non feci in tempo ad accorgermene.
Fu il getto più potente e lungo della giornata.
Quando vidi che l’auto rimaneva ferma, chiusi tutto … ma era troppo tardi.
Ricordo ancora lo sguardo incredulo dell’uomo che, nonostante le piante, mi fissò dritto negli occhi, lui, completamente bagnato, non disse nulla, scese dall’auto ed andò dritto al campanello.
Mia madre aprì.
Anche allora rimasi bloccato, col fiato sospeso, senza riuscire a muovermi … come davanti al dottore, quella mattina.
Mamma si voltò e venne con passo veloce verso di me e urlò una cosa che non mi aveva mai detto:
“Vieni qua delinquente!”
Allora iniziai a correre e lo feci in tutte le direzioni, fino a quando lei, stanca, si fermò.
Appoggiò una mano al muro e con l’altra si tolse uno zoccolo.
Poi prese la mira e lanciò.
Non siamo mai riusciti a capire come fece, ma nessuno di noi due ha più dimenticato il rumore del vetro dell’auto dell’uomo mentre si infrangeva in mille pezzi.
Il signore, fermo ancora al cancello, si infuriò con mia madre che subì quelle offese, in silenzio.
Alla sera, quando lei passò a darmi il bacio della buonanotte, mi disse, affettuosamente:
“Adesso dormi … Delinquente!”
Ma questa volta quella parola, Delinquente, era detta con calore, come a dire:
“Ti voglio bene lo stesso, perché so che tu sei buono, il Delinquente è un’altra parte di te, è lei che ti fa combinare guai …”
All’improvviso, ricordando questo episodio, iniziai a ridere come non facevo da molto tempo, anche se quel giorno non avrei avuto proprio nulla da ridere.
E da lì mi è venuta l’idea di chiamare la mia malattia Delinquente.
Sì, perché se uno è malato, non deve considerarsi tutto malato, la malattia è una sua parte non tutta la sua persona, perché solo una propria parte corrisponde al male e il mio male, dal nome strano che nemmeno più ricordavo, il nome che mi aveva detto il dottore quella mattina, l’avrei chiamato Delinquente.
Certo, non sono mai riuscito a dire Delinquente con affetto, come fece mamma quella sera con me, però è stato grazie a lui che mi sono sentito un uomo con una sua parte malata da curare.