La prima visita di Guido Speranza (terza parte)
Lisa:
Tre ingredienti per una buona relazione terapeutica: un sorriso, una stretta di mano e guardarsi negli occhi
Dottor Sforza
Avevo comunicato la diagnosi a Guido Speranza, avevo detto che lui aveva una malattia e avevo aggiunto che “noi ci saremmo curati”.
“Noi ci saremmo curati” ?!?!?!?
Ma la malattia era sua e il mio modo di fargli coraggio era un far finta che la malattia fosse diventata improvvisamente nostra?!?!?!?
Mi sentii un po’ patetico, perché era tutto inverosimile.
Mi ero lasciato prendere dalla situazione e sentivo che stavo soffrendo per quella sentenza che avevo dato a quell’uomo che per me era uno sconosciuto.
“Sentenza”.
Molti pazienti chiamano la diagnosi in questo modo.
Quando lo fanno io mi sento un giudice … o un boia …Con Guido Speranza sentii che dovevo fare qualcosa e così mi alzai per accompagnarlo alla porta e gli diedi la mano e poi con l’altra tenni la sua per qualche istante tra le mie … volevo fargli sentire la mia partecipazione alla sua sofferenza … che male c’era se lui sentiva che ero dispiaciuto per ciò che gli era capitato? Dopotutto noi medici siamo anche emozioni, non solo sentenze …
E lì … sulla porta … lui chiese a me … a me … quanto fosse duro il mio lavoro.
Quei suoi occhi, la sua mano tra le mie, i nostri sguardi che si incontrarono … altroché tenere indietro le mie emozioni … pensai a quel medico che mi aveva detto di non sentirle e di rimandarle sempre indietro, perché “il buon medico non si fa prendere dalle emozioni!”
Guido Speranza mi entrò nella testa e nel cuore, senza che glielo avessi chiesto … per la sua semplicità … ma c’è sempre, prima o poi, un paziente al quale concedi di fermarti a riflettere sulla tua professionalità …e, lì per lì, non capii perché avevo concesso a quell’uomo tanto potere su di me. Ma ricordo che andai a casa e strada facendo ebbi bisogno di tenere giù il finestrino e misi la musica a tutto volume. Quando mi fermai al semaforo lo vidi, alcune ore dopo il nostro colloquio, era seduto sulla panchina del parco, frastornato e, sentendo la musica, si voltò dalla mia parte, non mi riconobbe, ma lo osservai ridere da solo e pensai a che forza d’animo dovesse avere se aveva ancora voglia di ridere.
Ma Guido Speranza è anche questo: sa sorridere anche nei momenti di difficoltà