La prima visita di Guido Speranza (prima parte)
Lisa:
Il buon professionista parte da un’idea della persona che ha davanti ed è pronta a cambiarla in ogni momento
Dottor Sforza
Il primo medico che mi insegnò a fare le visite mi disse che dovevo rimanere sempre seduto per non perdere tempo tra un paziente e l’altro … Mi sembrava un po’ eccessivo, però io gli diedi retta, perché era più esperto di me.
Negli anni capii che forse un alzarsi in piedi ed un andare ad accogliere il paziente sulla porta dell’ambulatorio è un gesto quanto meno gentile e di buona educazione … e comunque apre alla relazione …
Forse impiego un minuto in più nella visita, ma di certo lo riguadagno dopo, quando il paziente si sente accolto … da me … magari con un sorriso, quello non guasta mai.
Quando vidi per la prima volta Guido Speranza notai subito che era da solo. Questo mi dispiacque perché dovevo comunicargli la diagnosi, che non era bella.
Ma perché i pazienti si ostinano a venire da soli?
Io non so se lo facciano per scaramanzia o perché sottovalutino le situazioni o perché si vogliano fare vedere forti … so solo che per me, come medico, è peggio.
Io vorrei che tutti i pazienti avessero qualcuno con loro, magari anche fuori dalla porta … e soprattutto quando devo comunicare loro la diagnosi … vorrei proprio che non fossero soli.
Allora mi informo e dico: “E’ venuto con qualcuno?”
Da lì già capisco un po’ chi ho davanti:
- quelli che mi dicono che non hanno voluto disturbare i propri familiari, sono coloro che nella vita danno agli altri, ma fanno fatica a chiedere;
- quelli che non hanno nessuno sono i “meglio soli che male accompagnati”;
- quelli che mi dicono “perché c’era bisogno che venissi con qualcuno?” sono i sottovalutatori, coloro che non riescono a comprendere l’entità di quello che accade intorno … e poi potrei andare avanti per ore perché ho una definizione per ognuno… L’importante delle mie definizioni è che sono pronto a cambiarle, quando mi accorgo di avere interpretato male la persona che ho davanti.
… Comunque, un’idea sull’altro ce la facciamo sempre, anche quando crediamo di non farcela.
Così, quando ho visto sulla porta Guido Speranza che non si attentava ad entrare, mi dissi che lui apparteneva agli esitanti, cioè a coloro che mettono il piede in avanti, ma poi lo vorrebbero ritrarre subito dopo.
Ma Guido Speranza non è un esitante, lui è un esploratore, è come colui che va avanti con la voglia di conoscere il territorio e lo studia e lo rispetta, cercando di comprenderlo.
Ricordo bene che si sedette sul bordo della sedia, come a dirmi che aveva fretta.
Feci finta di non accorgermi della sua posizione e anche dopo, quando si voltò, come per cercare qualcun altro oltre a noi due nella stanza, feci finta di nulla.
Forse lui mi percepì come un superficiale e a me dispiaceva dargli quest’idea, ma non potevo certo dirgli che era inutile che cercasse qualcun altro nella stanza, perché quella diagnosi …. che gli stavo comunicando … era sua … solo sua.