L’Alleanza Terapeutica (1 parte)
Lisa:
in ogni storia di malattia la persona malata ha sempre bisogno di sentirsi prendere in cura. Non è sufficiente che il medico dica: “Lei è un mio paziente”, è necessario che il medico faccia sentire la persona un suo paziente. E’ solo da quel momento che inizia veramente l’Alleanza Terapeutica dove la verità può e deve essere raccontata nel rispetto reciproco delle diverse professionalità: quella del medico, quella del paziente e quella del familiare.
Guido Speranza:
Quando entrai nell’ambulatorio del medico, mi aspettavo qualcosa di non bello.
Avevo preferito andare da solo per non fare perdere un giorno di lavoro a mia moglie Daria.
Mi ero seduto sul bordo della sedia, come a dire: “facciamo in fretta che ho un impegno”.
Il medico mi aveva dato la mano … mi aveva sorriso … poi era rimasto qualche secondo con lo sguardo fisso sui miei esami.
“Ma quanto ci mette?!” mi ero detto; passarono pochi secondi … lunghi un’eternità, a ripensarci adesso.
Poi, Lui, aveva alzato la testa, per un attimo aveva guardato fuori dalla finestra … stava cercando le parole giuste da dire … e quel silenzio mi tenne sospeso nelle mie paure e in quel momento le sentii come non mi era mai capitato … nemmeno quando avevo visto tutti quegli asterischi vicino ai miei risultati del sangue … non so se l’avete mai notato, ma ci sono medici che iniziano a parlarti ancor prima che tu ti sieda, medici che non ti guardano mai in faccia e tengono la testa china sui loro fogli, medici che non ti sorridono, medici di cui non percepisci l’anima … a me invece piacciono quelli che sanno che ti devono sorridere, raccontare la verità e farti delle domande per conoscerti: sono quelli che ti guardano negli occhi e che non si spaventano della diagnosi che ti devono comunicare, hanno capito che le parole SONO strumenti di lavoro e le pause diventano momenti da lasciare alle persone per capire che la loro vita sta cambiando.
Il mio medico mi disse: “Le devo comunicare una cosa non bella …” e aveva pronunciato il nome strano di una malattia … che era “impegnativa” e mi apparteneva … sottolineò che, per quanto io mi fossi sentito solo in quel momento, i medici, gli infermieri e la psicologa erano lì per aiutarmi … “in quel difficile percorso”.
Sentivo il suono della sua voce lontano e la mia vita mi passò davanti agli occhi.
Mi sembrava che stesse parlando a un’altra persona, tanto che mi voltai per guardare alle mie spalle.
Lui non diede importanza al mio movimento e continuò a parlarmi … più approfondiva e più io mi sentivo VULNERABILE …